Cimice asiatica, la Xylella del Nord: dimezzata la produzione di frutta

Danni per più di 350 milioni: devastate le piantagioni di pere, kiwi e pesche. Le Regioni hanno chiesto l'istituzione di un fondo nazionale straordinario.

Cimice asiatica, la Xylella del Nord: dimezzata la produzione di frutta

 

L'Emilia Romagna da sola produce il 70% delle pere italiane e il 30% di tutte le pere europee. Parliamo di 500mila tonnellate di raccolto all'anno, che finiscono sui banchi dei fruttivendoli così come nei capannoni dell'industria alimentare, che le trasforma in succhi, conserve, marmellate. Quest'anno, però, i 5mila produttori della regione raccoglieranno 250mila tonnellate di pere in meno. La metà. E la colpa è della cimice asiatica, il parassita che non solo fa cadere i frutti a terra, ma danneggia irreparabilmente anche molti di quelli che restano sulla pianta. Li annerisce, rendendoli inutilizzabili sia per i fruttivendoli che per l'industria della trasformazione.

L'allarme sull'insetto è stato lanciato quest'estate. Ma solo ieri sono arrivati sul tavolo della ministra dell'Agricoltura, Teresa Bellanova, il primo vero consuntivo dei danni economici subiti dall'agricoltura italiana nell'estate 2019. E sono conti catastrofici: soltanto per la produzione di pere emiliane si parla di 120 milioni di euro. Se si aggiungono le pere del Veneto e tutte le pesche che vengono prodotte nel Nord Italia - tra Emilia Romagna, appunto, Veneto, Piemonte e Lombardia - i danni hanno superato i 350 milioni di euro. E già ci sono i primi agricoltori che abbattono le piante per uscire da un business in rosso.

Se non si interverrà in tempo, per il Nord Italia la cimice asiatica rischia di diventare quello che la Xylella è stata per la Puglia. Per gli ulivi salentini, le stime più recenti parlano di 1,2 miliardi di euro di danni. Calcolati su cinque anni però: la cimice asiatica ha fatto danni per 350 milioni di euro in un'estate soltanto. Le analogie col caso pugliese cominciano a essere parecchie. Come la Puglia per l'olio d'oliva, l'Emilia Romagna è tra i principali produttori italiani di frutta. E così come gli agricoltori pugliesi, quelli emiliani hanno subito il dimezzamento della produzione. Non solo: i dati per ora riguardano solo pere e pesche perchè la stagione è finita. Ma la raccolta delle mele è solo agli inizi, mentre quella dei kiwi deve ancora cominciare.

Se sulla Xylella la Regione Puglia ha reagito con grande ritardo, le Regioni del Nord hanno deciso di muoversi per tempo. Ieri al tavolo istituzionale tra gli assessori all'Agricoltura delle Regioni italiane e il ministro Teresa Bellanova, i rappresentanti delle realtà più coinvolte hanno chiesto con urgenza l'istituzione di un fondo nazionale straordinario per affrontare il tema della cimice asiatica, proprio come ha fatto il precedente governo per la Xylella. Per la Puglia, lo stanziamento fu di 150 milioni di euro per il 2019 e il 2020. I soldi serviranno a indennizzare gli agricoltori colpiti, a finanziare l'acquisto di difese meccaniche contro la cimice e ad accelerare la ricerca. «Abbiamo ben chiaro - la gravità del problema - ha risposto ieri la ministra Bellanova - questa non è una emergenza regionale ma nazionale ed europea, e per questo intendo discuterne anche a Bruxelles».

Plaude all'intervento della ministra il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, per il quale «è necessario che le istituzioni nazionali e regionali facciano squadra». «I soldi devono andare in primo luogo ai produttori che quest'anno chiuderanno i bilanci in rosso - sostiene Davide Vernocchi, coordinatore per il settore ortofrutticolo dell'Alleanza Cooperative - a fronte di costi di produzione di 16-17mila euro per ettaro, gli agricoltori stanno incassando solo 7-8mila euro dalla vendita della frutta. È chiaro che non possono sopravvivere». Un antagonista naturale per la cimice c'è, ed è la vespa samurai, «ma tra l'iter della normativa che ne deve autorizzare l'importazione e il tempo necessario affinchè questo insetto si ambienti in Italia - spiega Vernocchi - ci vogliono almeno 5 o 6 anni. Per questo è fondamentale che il sostegno economico agli agricoltori sia prolungato per tutto questo tempo».

 

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27/09/2019.


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